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        PREFAZIONE  DI Eugenio Blinskij

 

 

 

 

“Freccette”.

 

Perché proprio “Freccette”?

 

Per il loro acume? Per la pungente ironia? Per l’acuto sentimento che spinge una persona apparentemente qualsiasi, anzi, anche meno, a porre su carta i moti più segreti e tormentati dell’animo?

 

Niente di tutto questo.

 

Il perché di “Freccette” sono cazzi dell’Autore. Se ne avete voglia, chiedetelo a lui, io ne so francamente una sega. Parliamo quindi di lui.

 

Già. L’Autore.

 

Luca Ceccherini si distingue dalla massa per avere i capelli ricci, per essere nato oltre quaranta anni fa e per un’altra caratteristica che la sapevo ma non me la ricordo.

 

Cominciò a disegnare più verso le otto che verso le nove di un tardo pomeriggio invernale di un anno che non so perché allora non lo conoscevo.

 

Verso la quinta elementare cominciò anche a scrivere. Di lui si ricorda una mirabile testa di somaro con la didascalia “asino il Direttore” vergata con mano ancora incerta sulla parete del gabinetto della scuola e quindi tutta istoriata di una deliziosa greca di cazzi.

 

Ma fu alla scuola media che si ebbe finalmente la sua consacrazione come Poeta. Si ricorda che appena si avvicinò con passo timido (è cieco come un cacciavite) alla Commissione d’Esame, rendendosi conto di avere calpestato una gomma da masticare lasciata lì dal bieco bidello Licinio, si esibì in un’improvvisata composizione in endecasillabi che suonava pressappoco così:

 

Ma chi l’avrà sputata la cingomma

Puttanadellatroiadellam…

 

(non potè finire perché il Professore di Religione, Don Arcigno Capone, quasi lo scapò con un manrovescio del sedici, avviandolo inoltre ad una immeritata e dolorosissima bocciatura).

 

Il seguito lo conoscono tutti: il Professore di Latino Gipo Frosone, il noto pederasta, aveva ormai colto la luce di talento che in quell’attimo fatal era brillata e, presolo sotto la sua ala protettrice, si fece di lui Pigmalione nonché manager a provvigioni con minimo garantito.

 

Erano anni in cui il mondo della cultura era scosso dai fermenti di un’era nuova. Tutto un fiorir d’artisti animava di discussioni i bar dei quartieri universitari. Erano gli anni di Mino Reitano, di Gianni & Pinotto, del Gingerino Recoaro. Si polemizzava se la Cinquecento Abarth avesse più ripresa dell’Innocenti Austin, fioccavano le scommesse e i record al flipper.

 

Ma il Ceccherini, novello passero solitario, appartato dal convulso mondo esterno ed impegnato a respingere le veementi avances dell’untuoso professore, nel chiuso del suo cuore covava quei tesori di cui poi ha voluto renderci partecipi.

 

Grazie, Luca, per averci voluto oggi invitare a questa tavola imbandita del Tuo genio, del Tuo cuore, della Tua anima, se possibile ci starebbe bene anche un frittino misto mare con due gocce di limone.

 

Noi saremo per Te fratelli, discepoli, amici e sperabilmente eredi, noi porteremo il Tuo Nome come un badge con la faccia di Bob Marley e quando i nostri nipotini, rovistando con le odiose manine nelle vecchie cose del nonno ne trarranno questo libretto, che sarà anche per loro fonte di allegria e meraviglia, ci chiederanno: “O nonno, ma te lo conoscevi questo qui??” noi con orgoglio potremo rispondere “Sissì: era uno riccio, pieno di debiti, è scappato in Sudamerica tanti anni fa….”

 

Con affetto.

 

 

Eugenio Blinskij

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